Karel Zeman, allenatore della Reggina, affronta la squadra rossonera dove nacqua il mito di Zemanlandia. “Ero legato a Signori: anche per via del ciuffetto biondo che ci univa ci sentivamo fratelli”
“Quel giorno non c’ero: ero troppo piccolo, non andavo sempre in trasferta”. Reggio Calabria, 16 giugno 1991: il Foggia passeggia nell’ultima di campionato (4-2) e conclude una stagione trionfale che porta i rossoneri in serie A. È il primo atto di quella che passerà alla storia come Zemanlandia. In panchina c’è Zdenek Zeman, ad attenderlo a casa il figlio 14enne Karel. Che domani a Reggio ci sarà. E da allenatore dei calabresi sfiderà il suo passato.
Karel Zeman, per lei è come un derby.
“È un’emozione particolare. Ho vissuto lì dai 12 ai 17 anni, è stata una tappa fondamentale nella mia vita. Poi con il mestiere che faceva mio padre ero abituato a cambiare città spesso e invece a Foggia ci siamo rimasti cinque anni di seguito. Un sogno…”.
Troppo piccolo per le trasferte, ma già grande per seguire gli allenamenti.
“Ricordo che mi sedevo in panchina o sui gradoni e seguivo quello che facevano i giocatori. E molti di loro hanno fatto strada, anche grazie a mio padre”.
Uno degli ex rossoneri sarà avversario in panchina: Giovanni Stroppa.
“Giocatore eccellente, un mito. Ma del primo ciclo di Zeman ero legato a Signori: anche per via del ciuffetto biondo che ci univa, ci sentivamo fratelli”.
E come si conviveva, invece, con un papà allenatore?
“Lo criticavo e non gli risparmiavo nulla. In sostanza ero suo figlio, ma anche il primo tifoso. Però mi ascoltava, perché dato che seguivo tutto e sono cresciuto vedendolo allenare era come se fossi un suo collaboratore”.
Ora i ruoli si sono invertiti.
“È paradossale, adesso è lui che resta a casa e giudica quello che faccio io in panchina. E non mi risparmia critiche”.
Cos’è mancato nella carriera di suo padre?
“La sensazione peggiore è di aver vissuto in un mondo diverso dal suo, in cui non era a suo agio: è una persona limpida e non ha lavorato in un mondo limpido”.
Un’insofferenza che portava anche a casa?
“Assolutamente no. A casa tendeva a parlare poco di lavoro. Nonostante tutto, resta un allenatore che può vantare più di mille panchine”.
Un traguardo a cui può aspirare anche lei.
“E perché no, è uno dei miei sogni: fare oltre mille panchine, dignitosamente, senza dovermi vergognare di nulla”.
E magari scrollarsi l’etichetta di “figlio di Zdenek”.
“Da una parte mi fa piacere essere accostato a lui, perché è un modello per molti. Ma ovviamente mi piacerebbe essere valutato e considerato come persona e professionista”.
È un derby anche per suo padre: avete parlato del Foggia?
“Sì, mi ha chiamato e mi ha detto: “Occhio, che sono forti”. E io gli ho risposto: lo so, li conosco “.
Entrambi di poche parole. Ma c’è una cosa che non ha ereditato di suo padre?
“Il vizio del fumo. Ci provo con tutte le mie forze a farlo smettere, ma convincerlo non è mai stato semplice”.
Fonte – Bari.repubblica.it
Karel o non Karel non trasformiamo il topolino in una montagna.
La Reggina ha evidenti carenze tecnico tattiche e se non ci fosse la lega unica sarebbe in c2 per l organico che si ritrova.
Abbiamo una rosa che vale 3 volte quella del calabresi.
Solo i 3 punti se non vogliamo scadere nel ridicolo